Il crocifisso nell'aula di giustizia

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  • 21/09/2013
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Crainquebille di Anatole France è un'opera stupenda sul diritto e sul processo.
Il primo capitolo si intitola "Della maestà delle leggi". Merita che si riporti integralmente

La maestà della giustizia risiede tutta intera in ogni sentenza pronunciata dal giudice in nome del popolo sovrano. Jéróme Crainquebille, venditore ambulante, conobbe la solennità della legge quando fu tradotto nel Tribunale correzionale per oltraggio a un agente della forza pubblica. Avendo preso posto al banco degli imputati, nell'aula magnifica e cupa, vide i giudici, i cancellieri, gli avvocati in toga, l'usciere con la catena, i gendarmi, e, dietro una transenna, le teste nude degli spettatori silenziosi. E vide se stesso seduto su uno scanno più alto, come se l'imputato stesso ricevesse, per il fatto di comparire dinanzi ai magistrati, un funesto onore. In fondo all'aula, tra i due consiglieri, sedeva il presidente Bourriche. Sul suo petto erano cucite le palme da ufficiale d'accademia. Un busto della Repubblica e un Cristo in croce sovrastavano il pretorio, di modo che tutte le leggi divine e umane erano sospese sulla testa di Crainquebille. Ne fu giustamente terrorizzato. Non avendo affatto uno spirito filosofico, non si chiese che cosa volessero dire il busto e il crocifisso, ne se Gesù e Marianna stessero bene insieme, nel Tribunale. Eppure, sarebbe stato un buon argomento di riflessione, giacché, in fin dei conti, la dottrina pontificale e il diritto canonico contrastano in moltissimi punti con la Costituzione della Repubblica e con il Codice civile. Le Decretali, che si sappia, non sono mai state abolite. La Chiesa di Cristo insegna, come un tempo, che i soli poteri legittimi sono quelli di investitura ecclesiastica. Ora, la Repubblica francese afferma ancora che non intende dipendere dalla potenza pontificia. Crainquebille avrebbe potuto dire, non senza ragione: «Signori giudici, poiché il presidente Loubet non è stato unto, questo Cristo, che pende sulle vostre teste, vi ricusa come organo dei Concili e dei Papi. O egli si trova qui per ricordarvi i diritti della Chiesa, che infirmano i vostri, oppure la sua presenza non ha alcun significato ragionevole».
Alla qual cosa il presidente Bourriche avrebbe forse risposto:
«Imputato Crainquebille, i re di Francia sono sempre stati in contrasto con il Papa. Guillaume de Nogaret fu scomunicato, e non si dimise, per così poco, dalle sue cariche. Il Cristo del pretorio non è il Cristo di Gregorio VII e di Bonifacio VIII. È piuttosto, se volete, il Cristo del Vangelo, che non sapeva una parola di diritto canonico e non aveva mai sentito parlare delle famigerate Decretali».
Allora Crainquebille avrebbe benissimo potuto rispondere:
«II Cristo del Vangelo era un bousingot, e per di più subì una condanna che, dopo diciannove secoli, tutti i popoli cristiani considerano un grave errore giudiziario.Vi sfido proprio, signor presidente, a condannarmi, in suo nome, anche solo a quarantott'ore di prigione».
Ma Crainquebille non si dedicava a nessuna considerazione storica, politica o sociale. Rimaneva semplicemente stupito. L'apparato da cui era circondato gli faceva concepire un'alta idea della giustizia. Pieno di rispetto, sopraffatto dallo spavento, era pronto a rimettersi ai giudici perché si pronunciassero sulla sua colpevolezza. Nella sua coscienza, non si reputava un criminale; ma sentiva che poca cosa fosse la coscienza di un venditore di legumi davanti ai simboli della legge e ai ministri della vendetta sociale. E già il suo avvocato lo aveva persuaso a metà di non essere innocente.
Un'istruttoria rapida e sommaria aveva rilevato i carichi che pendevano su di lui.

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