La verità e l'oratoria
Ma nel processo non c'è solo il problema della verità, perché conta anche la capacità di convincimento. Boccaccio ne dà un bell'essempio nella novela narrata da Filostrato nella sesta giornata del Decameron, dove si racconta del processo intentato alla bella donna Filippa.
L'accusa è di adulterio, su denuncia del marito, Rinaldo de' Pugliesi. Ma la donna non sbigottisce di fronte a tanta gravità, e da navigato oratore, "con voce assai piacevole", risponde alla contestazione: certo che ho tradito mio marito con Lazzarino de' Guazzagliotri; ma è ben strana questa accusa che mi si fa in nome di una legge che "solamente le donne tapinelle costringe". In ogni caso, mi si condanni pure, "in pregiudicio del mio corpo e della vostra anima" —continua ammiccante verso il giudice la bella Filippa—, però prima si chieda a mio marito "se io ogni volta e quante volte a lui piaceva, senza dir mai di no, io di me stessa gli concedeva intera copia o no". E alla risposta positiva di Rinaldo "adunque, seguì prestamente la donna, domando io, messer potestà, se egli ha sempre di me preso quello che gli è bisognato e piaciuto, io che doveva fare o debbo di quel che avanza? debbolo io gittare ai cani?".
Nel formulare quest'ultima insidiosa domanda donna Filippa, che ora si può immaginare che agita trionfalmente le maniche della toga (come un avvocato che gongoli al pensiero della vittoria imminente), ha senz'altro distolto lo sguardo dallo scanno del giudice, per volgerlo verso il pubblico presente, al fine di conquistarne la benevolenza, lo dimostra il lessico popolare dell'ultima locuzione. E, infatti, i suo concittadini, che "eran quivi a così fatta esaminazione, e di tanta e sì famosa donna, quasi tutti […] concorsi", "udendo così piacevol domanda, subitamente, dopo molte risa, quasi ad una voce tutti gridarono la donna aver ragione e dir bene".
