Alla ricerca della nuda verità

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  • 21/09/2013
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Sempre Dostoevskij, nella perquisizione di Mìtja Karamàzov, mostra ancora una volta la sua grande capacità d'introspezione psicologica. Per ricercare la "nuda verità" la giustizia spesso l'imputato è spogliato di tutti i rivestimenti che gli derivano dalla ricchezza o dal prestigio sociale, lasciandolo così inerme e umiliato, a volte privato anche della sua dignità.

"Ebbe inizio qualcosa d'affatto inatteso e sorprendente per Mìtja. Egli non avrebbe mai potuto immaginare prima d'ora, neppure un istante fa, che qualcuno potesse comportarsi in questo modo con lui, con Mìtja Karamàzov! Il fatto è che venne a determinarsi un che d'avvilente, e, da parte degli altri, unche "d'altezzoso e di sprezzante nei suoi confronti". Poco male, ancora ancora, sfilarsi il surtout: ma fu pregato di continuare a svestirsi degli altri panni. E non si trattava già d'una preghiera: in realtà, era un comando: e lui lo capì benissimo. Per orgoglio e disprezzo si piegò a tutto, senza parole. Dietro la tenda era entrato, oltre Nikolàj Parfènovic, anche il procuratore, e assistevano parecchi mugìk, "naturalmente, come apparato di forza" rifletté Mìtja "a meno che non sia pure per qualche altro scopo".
“E che, pure la camicia mi debbo togliere?” bruscamente avanzò la domanda, ma Nikolàj Parfènovic non gli rispose: di conserva col procuratore, egli stava tutto sprofondato nell'esame del surtout, dei calzoni, del gilè e del berretto; ed era evidente che in entrambi l'esame destava un grande interesse: "Non fanno punto cerimonie" balenò a Mìtja "non osservan neppure l'indispensabile discretezza".
“Io vi chiedo per la seconda volta: debbo o no sfilarmi la camicia?” esclamò lui, ancor più brusco e irritato.
“Non vi preoccupate, saremo noi a informarvi” in un certo qual tono d'autorità rispose Nikolàj Parfènovic. Tale almeno fu l'impressione di Mìtja.
Fra il giudice istruttore e il procuratore si svolgeva intanto una ansiosa confabulazione a mezza voce. S'erano scoperti sul surtout, specialmente sul lembo posteriore a sinistra, macchie enormi di sangue, risecche, indurite, e ancora poco scancellate dalla strùscio. (…)
“La vostra camicia sarà bene pigliarla col resto, è una cosa di grande importanza… dal punto di vista delle prove materiali”.
A queste parole Mìtja si fece rosso e andò sulle furie.
“O dunque io dovrei rimanere ignudo?” gridò.
“Non vi date pensiero… accomoderemo noi, in qualche modo, la faccenda: e intanto, adesso, vogliate sfilarvi anche le calze”.
“Voi non scherzate? E' realmente una cosa tanto indispensabile?” e a Mìtja sfavilarono gli occhi.
“Noi abbiamo ben altro che da scherzare!” severamente rimbeccò Nikolàj Parfènovic.
“Ebbene, se è necessario… io…” borbottò Mìtja, e, sedendosi sul letto, cominciò a sfilarsi le calze. Lo aveva invaso una intollerabile vergogna: intorno a lui, tutti vestiti, e lui spogliato; e, cosa strana, così spogliato, era come se si sentisse anche lui colpevole di fronte a costoro: non solo, ma il peggio era che quasi quasi conveniva lui stesso d'esser divenuto a un tratto più abietto di tutti costoro, cosicché essi avevano ormai pieno diritto di disprezzarlo. "Se tutti fossero svestiti, la vergogna non si sentirebbe: ma uno solo svestito, e tutti gli altri a guardarlo, è obbrobrioso!" gli balenava e gli ribalenava nella mente. "Come fosse un sogno: in sogno, a volte, io ho avuto a patire di simili obbrobri". Ma sfilarsi le calze fu per lui addirittura una tortura: erano assai in disordine, e le mutande altrettanto: e questo, adesso doveva cader sotto gli occhi di tutti! E poi, soprattutto, a lui per primo non piacevano i suoi piedi, e chissà, gli era sempre sembrato che i pollici d'un piede e dell'altro fossero mostruosi, specialmente quell'unghia del destro, grossolana, piatta, torta in basso:ed ecco che ora tutti quanti gliel'avrebbero vista! Così insopportabile era la vergogna, che d'improvviso egli diventò ancor maggiormente (e intenzionalmente) brutale."

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