Controversia legale
Ne La Giara Pirandello mette in scena un esilarante caso giuridico. Il conciabrocche Zì Dima è rimasto incastrato nella giara di Don Lollo Zirafa. Per dirimere la disputa che ne sorge tra i due viene chiamato l'avvocato Scimé. Il passo è tutto da leggere.
Scimè (non potendo trattenersi, tra le risate anche degli altri): Ma che pre ... ma che pretendete di tene... di tenerlo là dentro? Ah ah ah, ohi ohi ohi ... Tenerlo là dentro per non perderci la giara?
Don Lolò: Ah, secondo lei, dovrei patire io, allora, il danno e lo scorno?
Scimè: Ma sapete come si chiama codesto? Sequestro di persona.
Don Lolò: E chi l'ha sequestrato? S'è sequestrato lui da sé! Che colpa n'ho io?
A zi' Dima:
Chi vi tiene lì dentro? Uscitene!
Zi' Dima: Si provi lei a farmi uscire, se n'è capace!
Don Lolò: Ma non vi ci ho ficcato io costà, da aver quest'obbligo! Vi ci siete ficcato voi: uscitene!
Scimè: Signori miei, permettete che parli io?
Tararà: Parla l'avvocato! Parla l'avvocato!
Scimè: Son due i casi, statemi a sentire, e dovete mettervi d'accordo.
Rivolgendosi prima a don Lolò:
Da una parte, voi don Lolò, dovete subito liberare zi' Dima.
Don Lolò (subito): E come? rompendo la giara?
Scimè: Aspettate. C'è poi la parte dell'altro. Lasciatemi dire. Non potete farne a meno. Per non rispondere di sequestro di persona.
Rivolgendosi ora a zi' Dima:
Dall'altra parte, anche voi zi' Dima dovete rispondere del danno che avete cagionato cacciandovi dentro la giara senza badare che non potevate più uscirne.
Zi' Dima: Ma signor avvocato, io non ci ho badato perché, da tant'anni che faccio questo mestiere, di giare ne ho accomodate centinaja, e tutte sempre da dentro, per fermare i punti come l'arte comanda. Non m'era mai avvenuto il caso di non poterne più uscire. Tocca a lui dunque di prendersela col fornaciajo che gliela fabbricò così stretta di bocca. Io non ci ho colpa.
Don Lolò: Ma codesta gobba che avete, ve l'ha forse fabbricata il fornaciajo per impedirvi d'uscire dalla mia giara? Se attacchiamo lite per la bocca stretta, signor avvocato, appena si presenterà lui con quella gobba, il meno che potrà fare il pretore è di mettersi a ridere; mi condannerà alle spese e buona notte!
Zi' Dima: Non è vero! no! Perché con questa stessa gobba, io, per vostra regola, dalla bocca di tutte le altre giare son sempre entrato e uscito come dalla porta di casa mia!
Scimè: Questa non è ragione, abbiate pazienza, zi' Dima. L'obbligo vostro era di prender la misura prima d'entrare, se ne potevate uscire oppur no.
Don Lolò: E deve dunque ripagarmi la giara?
Zi' Dima: Che?
Scimè: Piano, piano. Ripagarvela come nuova?
Don Lolò: Certo. Perché no?
Scimè: Ma perché era già rotta, oh bella!
Zi' Dima: Gliel'ho accomodata io!
Don Lolò: L'avete accomodata? E dunque ora è sana! Non più rotta. Se io ora la rompo per farne uscir voi, non potrò più farla riaccomodare, e ci avrò perduto la giara per sempre, signor avvocato.
Scimè: Ma ho detto perciò che zi' Dima dovrà pur rispondere per la sua parte! Lasciate parlare a me!
Don Lolò: Parli, parli.
Scimè: Caro zi' Dima, una delle due: o il vostro mastice serve a qualche cosa, o non serve a nulla.
Don Lolò (contentissimo, a quanti stanno a sentire): Sentite, sentite, come lo piglia in trappola adesso. Quando comincia così...
Scimè: Se il vostro mastice non serve a nulla, voi siete un imbroglione qualunque. Se serve a qualche cosa, e allora la giara, anche così com'è, deve avere il suo valore. Che valore? Dite voi. Stimatela.
Zi' Dima: Con me qua dentro?
Tutti ridono.
Scimè: Senza scherzare! Così com'è.
Zi' Dima: Rispondo. Se don Lolò me l'avesse lasciata accomodare col solo mastice com'io volevo, prima di tutto non mi troverei qua dentro, perché avrei potuto accomodarla da fuori: e allora la giara sarebbe rimasta come nuova, e avrebbe avuto lo stesso valore di prima, né più né meno. Così rabberciata come è adesso, e forata come un colabrodo, che vuole che valga? Sì e no un terzo di quanto fu pagata.
Don Lolò: Un terzo?
Scimè: (subito, a don Lolò, facendo atto di parare): Un terzo! Zitto, voi! Un terzo... vuol dire?
Don Lolò: Fu pagata quattr'onze: un'onza e trentatré.
Zi' Dima: Meno sì, più no.
Scimè: Valga la vostra parola. Prendete un'onza e trentatré e datela a don Lolò.
Zi' Dima: Chi? Io? Un'onza e trentatré a lui?
Scimè: Perché rompa la giara e vi faccia uscire. Gliela pagherete quanto voi stesso l'avete stimata.
Don Lolò: Liscio come l'olio.
Zi' Dima: Pagare, io? Pazzia, signor avvocato! Io ci faccio i vermi, qua dentro. Oh, tu, Tararà, pigliami la pipa, dalla cesta costà.
