Il dovere del medico e quello del giudice
Avendo posto al centro della sua opera il tema dell'identità, Pirandello si trova spesso a riflettere su quello ad esso strettamente correlato dell'imputabilità del soggetto. Ne Il dovere del medico, Tommaso Corsi colto in flagranza di adulterio con la moglie di un viceprocuratore del re, uccide per legittima difesa quest'ultimo, e quindi tenta il suicidio. Salvatosi grazie all'abilità del dottor Vocalòpulo, quando l'avvocato Cimetta gli espone la necessità di sottoporsi al giudizio, rifiuta sdegnosamente questa eventualità.
Il Cimetta, commosso, tentennò a lungo il capo, poi sbuffò:
- E perché? Per una minchioneria di passata. Sarà difficile, difficilissimo, caro dottore, farne capace quella rispettabile istituzione che si chiama giuria. Non tanto, vedete, per il fatto in sé, quanto perché si tratta d'un sostituto procuratore del re. Se fosse almeno possibile dimostrare che delle corna precedenti il poveretto s'era già accorto! Ma i mezzi? Un morto non si può chiamare a giurare su la sua parola d'onore… L'onore dei morti se lo mangiano i vermi. Che valore può avere l'induzione contro la prova di fatto? Del resto, siamo giusti: su la propria testa ciascuno è padrone di accoglier quelle corna che gli garbano. Le tue, caro Tommaso, è chiaro, non le volle. Tu dici: "Ma potevo lasciarmi uccidere da lui?" No. Ma se volevi rispettato questo diritto di non aver tolta la vita, non dovevi andare a prendergli la moglie, quella bertuccia vestita! Così facendo, - bada, io vedo adesso le ragioni dell'accusa, - tu stesso hai derogato al tuo diritto, ti sei esposto al rischio e non dovevi perciò reagire. Capisci? Due falli. Del primo, dell'adulterio, dovevi lasciarti punire da lui, dal marito offeso; e tu invece l'hai ucciso…
- Per forza! – gridò il Corsi, levando il volto rabbiosamente contratto. – Istintivamente! Per non farmi uccidere!
- Ma subito dopo, invece, - rimbeccò il Cimetta- hai tentato di ucciderti con le tue mani.
- E non deve bastare?
Il Cimetta sorrise.
- Non può bastare. E' anzi a tuo danno, caro mio! Perché, tentando d'ucciderti, hai implicitamente riconosciuto il tuo fallo.
- Sì e mi sono punito
- No, caro, - disse con calma il Cimetta. – Hai tentato di sottrarti alla pena.
- Ma togliendomi la vita! – esclamò, infiammato il Corsi. – Che potevo fare di più?
- Avresti dovuto morire. Non essendo morto…
- Ma sarei morto, - riprese il Corsi, allontanando la moglie e additando fieramente il dottor Vocalòpulo, - sarei morto, se lui non avesse fatto di tutto per salvarmi! (….)
- Dopo tutto, - disse, - è un bel modo di ringraziarmi, codesto. Che dovevo fare?
- Ma lasciarmi morire! – proruppe il Corsi, - se non avevate il diritto di sottrarmi alla pena ch'io m'ero data, molto maggiore del mio fallo! Non c'è più pena di morte e io sarei morto, senza di voi. Ora come faccio io? Di che debbo ringraziarvi?
- Ma noi medici, scusate, - rispose, smarrito, il Vocalòpulo, - noi medici abbiamo il dovere della nostra professione. E me n'appello all'avvocato qua presente
- E in che differisce, allora, - domandò con amaro scherno il Corsi, - codesto vostro dovere da quello d'un aguzzino? (…)
- Mi sono lavato, col mio sangue! – compì subito la frase il Corsi, tutto acceso e vibrante. – Io sono un altro, ora! Io sono rinato! Come posso restar sospeso a un solo momento di quell'altra mia vita che non esiste più per me? Sospeso, agganciato a quel momento, come se esso rappresentasse tutta la mia esistenza, come se io non fossi mai vissuto per altro? E la mia famiglia? Mia moglie? I miei figli, a cui devo dare il pane, la riuscita? Ma come! Come! Che volete di più? Non avete voluto che morissi…E allora perché? Per vendetta? Contro uno che s'era ucciso…
