L'imputato e il suo giudice
In "Lettera al mio giudice", Simenon analizza con precisione da entomologo il rapporto di fascinazione e il desiderio di complicità che lega il medico Alavoine, colpevole di omicidio, al giudice Comelieau:
"Signor giudice,
vorrei tanto che un uomo, un uomo solo, mi capisse. E desidererei che quell'uomo fosse lei.
Durante le settimane dell'istruttoria abbiamo passato lunghe ore insieme: ma allora era troppo presto. Lei era un giudice, il mio giudice, e io avrei fatto la figura di chi cerca di scolparsi. Adesso sa che non si tratta di questo, vero? (...)
Lei è entrato. Io non l'avevo mai vista se non dietro la scrivania. Mi ha fatto venire in mente il chirurgo che arriva in gran fretta all'ospedale, dove lo aspettano gli allievi e gli aiuti.
Non ha guardato subito dalla mia parte. Eppure io avevo una voglia matta di salutarla, di avere un contatto umano con lei. E' così ridicolo? E' cinismo anche questo, per adoperare un termine usato e abusato in onor mio?
Erano cinque settimane che non ci vedevamo. Durante i mesi dell'istruttoria avevamo avuto un colloquio quasi ogni giorno. Lo sa che per me era piacevole persino l'attesa in corridoio, davanti al suo ufficio, e che a volte ci ripenso ancora con nostalgia? (...)
Ci guardavamo l'un l'altro. E' questo, è tutto questo che le dovrò spiegare, ma mi rendo conto che è un'impresa quasi impossibile. Sarebbe tanto più facile se avesse ucciso anche lei..."
