Un imputato riottoso
Il Processo di Kafka non può limitarsi ad un solo accenno.
Da non perdere anche la prima udienza in tribunale, allorché Joseph K. tenta di ribellarsi alla sua condizione di imputato
"All'altro estremo della sala dove K. fu condotto, su una specie di podio molto basso ma ugualmente stracolmo si trovava un piccolo tavolo disposto di traverso, e dietro di esso, quasi sull'orlo del podio, sedeva un ometto grasso e sbuffante, che fra grandi risate stava chiacchierando con un uomo in piedi dietro di lui; quest'ultimo aveva appoggiato un gomito sullo schienale della sedia e teneva le gambe incrociate. Più volte l'ometto agitava in aria il braccio, come se stesse facendo la caricatura di qualcuno. Il giovane che conduceva K. fece fatica ad annunciare quel che doveva dire. Già per due volte, sulla punta dei piedi, aveva tentato di parlare, ma l'uomo lassù non lo aveva notato. Solo quando una delle persone sul podio richiamò l'attenzione sul giovane l'uomo si voltò verso di lui e, chinandosi, ascoltò il messaggio che gli veniva sussurrato. Poi estrasse il suo orologio e veloce rivolse lo sguardo a K. "Lei avrebbe dovuto comparire un'ora e cinque minuti fa", disse. K. avrebbe voluto rispondere qualcosa, ma non ne ebbe il tempo, perché appena l'uomo ebbe finito di parlare dalla parte destra della sala si alzò un mormorio generale.
"Lei avrebbe dovuto comparire un'ora e cinque minuti fa", ripeté allora l'uomo a voce più alta e subito guardò giù nella sala. Subito anche il mormorio divenne più forte, e poiché l'uomo non aggiunse altro si spense gradualmente.
Ora in sala c'era molto più silenzio di quando K. era entrato. Solo la gente in galleria non cessava di fare osservazioni. Per quanto consentivano di vedere la penombra, il vapore e la polvere, quelli lassù erano vestiti peggio degli altri. Alcuni si erano anche portati dei cuscini, che mettevano fra la testa e il soffitto per non ferirsi.
K. aveva deciso di osservare più che parlare, e perciò, rinunciando a difendersi per un suo supposto ritardo, disse soltanto: "In ritardo o no, ora sono qui." Dalla parte destra della sala, si udì ancora un applauso di approvazione. "E' gente facile da conquistare", pensò K., disturbato ora dal silenzio nella metà sinistra della sala, che si trovava proprio dietro di lui e dalla quale si erano alzati solo alcuni battimani isolati. Pensò a cosa poteva dire per conquistarsi tutti in una volta oppure, se ciò fosse stato impossibile, guadagnare almeno temporaneamente anche l'approvazione degli altri.
"Sì", disse l'uomo, "ma io non sono più tenuto a concederle udienza" - di nuovo ci fu il mormorio, questa volta di dubbio significato, perché facendo con la mano un cenno alla folla l'uomo continuò - "tuttavia, in via eccezionale, per oggi la concederò. Un tale ritardo però non deve più ripetersi. E ora venga avanti!" Qualcuno saltò giù dal podio, sicché per K. si liberò un posto sul quale poté salire. Era in piedi, premuto stretto contro il tavolo, la folla dietro di lui era tanto grande che K. doveva opporle resistenza per non far cadere giù dal podio il tavolo del giudice istruttore, e, forse, il giudice stesso.
Il giudice istruttore non se ne curò, ma rimase comodo sulla sua sedia e, dopo aver detto una parola conclusiva all'uomo dietro di sé, afferrò un piccolo quaderno di appunti, che era il solo oggetto sul tavolo. Aveva un'aria scolastica, ed era vecchio, sformato da una lunga consultazione. "Allora", disse il giudice istruttore, sfogliò il quaderno e con il tono di una constatazione si rivolse a K.: "Lei è un decoratore di pareti?" "No", disse K. "sono il primo procuratore di una grande banca." A questa risposta, nella parte destra di sotto della sala, seguì una risata tanto cordiale, che anche K. finì per mettersi a ridere. La gente si appoggiava con le mani sulle ginocchia ed era scossa come da un grave attacco di tosse. Persino qualcuno in galleria rideva. Il giudice istruttore, che si era ormai incollerito e che forse non aveva potere sulle persone di sotto, cercò di rifarsi sulla galleria, saltò in piedi, fece verso la galleria un gesto di minaccia e le sue sopracciglia, che altrimenti erano insignificanti, aggrottandosi enormi sugli occhi parvero folte e nere. La metà sinistra della sala, invece, era ancora silenziosa, lì le persone se ne stavano in fila, rivolte verso il podio, e ascoltavano ciò che si diceva lassù con la stessa calma con cui prendevano il chiasso dell'altra fazione; permettevano addirittura che qualcuno delle loro file qua e là si comportasse come la gente dell'altra parte. Quelli di sinistra, tra l'altro inferiori di numero, erano fondamentalmente insignificanti come quelli di destra, ma la calma del loro comportamento faceva sì che sembrassero più importanti. Cominciando ora a parlare, K. era convinto di esprimersi secondo il loro modo di vedere.
"Signor giudice istruttore, la domanda stessa che lei mi ha rivolto, se cioè io sia un decoratore di pareti - e più che rivolgere, lei me l'ha fatta cadere in testa - questa domanda è tipica di tutto il modo di procedere nei miei confronti.
Lei può obiettare che non si tratta di un procedimento, e avrebbe ragione, è un procedimento soltanto se io lo riconosco come tale. Ma è solo momentaneamente che io lo riconosco, in un certo senso per compassione. La compassione è l'unico sentimento con cui lo si può considerare; se pure si vuole, in generale, considerarlo. Io non dico che sia un procedimento da carogne, ma vorrei offrirle questa definizione perché lei stesso possa riconoscerlo come tale."
K. si interruppe e guardò giù nella sala. Ciò che aveva detto era pungente, forse anche più pungente di quanto avesse avuto intenzione, tuttavia era esatto. Avrebbe meritato approvazione in qualche punto, ma tutti erano silenziosi, evidentemente aspettavano tesi ciò che sarebbe seguito, forse si preparavano in silenzio a un'esplosione che ponesse fine a tutto. Fu un disturbo che in quel momento si aprisse la porta in fondo alla sala, facendo entrare la giovane lavandaia che evidentemente aveva finito il suo lavoro e che, nonostante tutta la cautela che impiegò, attirò su di sé gli sguardi di alcuni. Solo il giudice istruttore diede a K. una gioia diretta, perché sembrò subito colpito dalle parole di K.
Finora aveva ascoltato in piedi, perché era stato sorpreso dal discorso di K. mentre si era alzato per minacciare la galleria. Ora, in quella pausa, si sedette lentamente, come se nessuno dovesse accorgersene. Forse per ridare calma al suo aspetto prese di nuovo il quaderno.
"Non serve a niente", continuò K., "anche il suo quaderno, signor giudice istruttore, conferma quel che dico." Contento di udire solo le proprie parole tranquille in quella riunione di estranei, K. osò persino portar via il quaderno al giudice istruttore e sollevarlo in alto per un foglio centrale, come se ne avesse ribrezzo, sicché le pagine fitte di scrittura, macchiate e bordate di giallo, pendevano in basso da un lato e dall'altro. "Ecco gli atti del giudice istruttore", disse, lasciando cadere sul tavolo il quaderno. "Ci legga pure dentro con calma, signor giudice istruttore, non ho davvero paura di questa lista delle colpe, anche se mi è inaccessibile, dato che posso prenderla solo con la punta di due dita." Poteva essere solo un segno di profonda umiliazione, o almeno così doveva intendersi, il fatto che il giudice istruttore afferrò il quaderno non appena caduto sul tavolo, cercò di metterlo un po' in ordine e lo riprese per leggerlo.
(...)
"Non c'è dubbio", disse K. a voce molto bassa, perché provava piacere per l'attenzione tesa di tutta l'assemblea, in questo silenzio si levò un brusio che era ancor più incoraggiante dell'approvazione più esaltata, "non c'è dubbio che dietro tutte le manifestazioni di questo tribunale, e quindi nel mio caso dietro l'arresto e l'interrogatorio odierno, si nasconde una grande organizzazione. Una organizzazione che impiega non solo sorveglianti corrotti, ispettori imbecilli e giudici istruttori, che è nel migliore dei casi gente limitata; ma anche oltre a ciò, in ogni caso, una casta di giudici di grado alto e supremo, con l'inevitabile, innumerevole seguito di fattorini, scrivani, gendarmi e altre forze ausiliarie, forse persino carnefici, non mi tiro indietro davanti a questa parola. E dov'è, signori, il senso di tutta questa organizzazione? Consiste in questo, nell'arrestare persone innocenti e mettere in moto contro di loro un procedimento insensato e per lo più, come nel mio caso, privo di risultati. In questa insensatezza del tutto, come si potrebbe evitare la peggiore corruzione degli impiegati? E' una cosa impossibile, non ne verrebbe a capo per se stesso neppure il giudice di grado più alto. E' per questo che i sorveglianti cercano di rubare i vestiti di dosso agli arrestati, è per questo che gli ispettori piombano nelle abitazioni altrui, è per questo che persone innocenti, anziché essere interrogate, devono subire un'umiliazione di fronte a un'intera assemblea. I sorveglianti mi hanno raccontato di depositi dove si portano le proprietà degli arrestati, mi piacerebbe vedere una buona volta questi depositi dove le sudate proprietà degli arrestati marciscono, se pure non vengono rubate da disonesti impiegati dell'ufficio."
(...)
"Volevo solo farle notare", disse il giudice istruttore, "nel caso non se ne fosse ancora reso conto, che lei oggi si è privato del vantaggio che una udienza in ogni caso significa per un arrestato." K. rise in direzione della porta. "Straccioni", esclamò. "Tutte queste udienze io ve le regalo", aprì la porta e si affrettò giù per la scala. Dietro di lui si alzò il rumore dell'assemblea tornata vivace, che evidentemente, come fanno gli studiosi, discuteva l'accaduto.
