Uno strano ordine d'arresto

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  • 21/09/2013
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Avevamo conservato fin qui il Processo di Franz Kafka. Ma non si può aspettate oltre.

Riportiamo il dialogo tra Joseph K e l'ispettore. La sottile ironia kafkiana trasfigura il rapporto con l'organo investigativo in metafora della condizione umana.

"Josef K.?" chiese l'ispettore, forse solo per attirare su di sé lo sguardo distratto di K. K. fece cenno di sì. "Quel che è successo stamane è stato per lei una grossa sorpresa?" chiese l'ispettore, e intanto spostava con entrambe le mani i pochi oggetti sul comodino, la candela con i fiammiferi, un libro e un portaspilli, come se fossero oggetti utili al procedimento. "Certamente", disse K., pervaso dalla piacevole sensazione di trovarsi finalmente davanti a una persona ragionevole e di poter parlare con lui dei propri affari. "Certamente è stata una sorpresa, ma non una grossa sorpresa." "Non una grossa sorpresa?" chiese l'ispettore, e mise la candela in mezzo alla superficie del comodino, mentre raggruppava intorno ad essa gli altri oggetti. "Forse lei non mi comprende", si affrettò a osservare K. "Voglio dire che..." Qui K. si interruppe, cercando intorno una sedia con lo sguardo. "Posso sedermi?" domandò. "Non è abitudine", rispose l'ispettore. "Voglio dire", disse K. senza ulteriori pause, "che certo è stata una grossa sorpresa, ma quando si è al mondo da trent'anni e ci si è fatta strada da soli come nel mio caso si è induriti contro le sorprese, e non si attribuisce loro eccessiva importanza. Soprattutto poi nel caso odierno." "Perché soprattutto nel caso odierno?" "Non voglio dire che sia uno scherzo, tutto l'allestimento mi sembra eccessivo per considerarlo tale. Dovrebbero prendervi parte tutti i pensionanti della casa, e anche lei, questo andrebbe al di là dei limiti di uno scherzo." "Ciò è del tutto giusto", disse l'ispettore e considerò quanti fiammiferi ci fossero nella scatola. "D'altronde però", continuò K. voltandosi verso gli altri, e si sarebbe volentieri rivolto anche ai tre che guardavano le fotografie, "d'altronde però la situazione non può neppure avere una eccessiva importanza. Lo deduco dal fatto che vengo accusato senza che io riesca a trovare la più piccola colpa della quale mi si possa accusare. Ma anche questo è collaterale, la vera domanda è: da chi vengo accusato? Quale autorità gestisce il procedimento? E voi, siete impiegati?

Nessuno indossa una uniforme, a meno che non si voglia definire tale il suo vestito" - e dicendo così si rivolgeva a Franz - "ma direi che sembra piuttosto un abito da viaggio. Su tali questioni io esigo chiarezza, e sono convinto che dopo questo chiarimento potremo congedarci nella massima cordialità." L'ispettore sbatté sul tavolo la scatola di fiammiferi. "Lei si trova in un grave errore", disse. "I signori qui e io stesso siamo del tutto secondari in rapporto alla sua questione, e anzi non ne sappiamo quasi nulla. Potremmo indossare le più regolari uniformi, e il suo affare non andrebbe per nulla peggio. Non posso neanche dirle se lei è accusato, o meglio non lo so neppure. Lei è in arresto, questo è vero, ma non so niente di più. Forse i sorveglianti hanno parlato a vanvera di qualcos'altro, ma si tratta per l'appunto di chiacchiere. Perciò, se pure non posso rispondere alle sue domande, tuttavia posso consigliarle di pensare meno a noi o a quello che le succederà; pensi piuttosto a se stesso. E non la faccia tanto lunga con i suoi sentimenti di innocenza, questo disturba l'impressione non del tutto negativa che lei risveglia per il resto. E poi, in generale, lei dovrebbe essere più riservato nel parlare, quasi tutto ciò che lei ha detto finora lo si sarebbe potuto dedurre dal suo comportamento anche se lei avesse detto solo due parole, e oltretutto non era niente che le fosse particolarmente favorevole."

(...) "Allora, signori", esclamò K., per un momento ebbe la sensazione di portare tutti sulle proprie spalle, "a giudicare dal vostro aspetto, si direbbe che il mio affare sia giunto a conclusione. Sono dell'opinione che la cosa migliore sia non pensare più se il vostro comportamento fosse autorizzato oppure no, ma concludere amichevolmente la cosa con una reciproca stretta di mano. Se anche lei è della mia opinione, allora la prego..." e così dicendo si avvicinò al tavolo dell'ispettore tendendogli la mano. L'ispettore alzò gli occhi, si morse le labbra e guardò la mano tesa di K., e K. credeva ancora che l'ispettore l'avrebbe stretta. Costui invece si alzò in piedi, prese dal letto della signorina Bürstner un cappello duro e rotondo e con entrambe le mani, con cautela, se lo mise in testa, come si fa quando si prova un cappello nuovo. "Come le sembra tutto facile!" disse intanto a K. "Lei crede che dovremmo concludere amichevolmente la cosa? No, no, non va davvero. Con questo non voglio affatto dire che lei debba disperarsi. No, perché dovrebbe? Lei è solo in arresto, nient'altro. Questo dovevo comunicarle, ora l'ho fatto e ho anche visto come lei ha preso la cosa.

Per oggi basta e possiamo anche salutarci, sia pure per breve tempo. Ora forse lei vuole andare in banca?" "In banca?" domandò K. "Pensavo di essere in arresto." K. faceva domande con un certo tono di sfida, perché, anche se la sua stretta di mano non era stata accettata, si sentiva sempre più indipendente da questa gente, specialmente da quando l'ispettore si era alzato in piedi. Era come un gioco che faceva con loro. Se se ne fossero andati, aveva l'intenzione di seguirli fino al portone per offrigli di arrestarlo. Per questo motivo ripeté ancora: "Come posso andare in banca, dato che sono in arresto?" "Ecco", disse l'ispettore, già sulla porta, "lei non mi ha capito. Certo che lei è in arresto, tuttavia questo non deve impedirla nella sua professione. E lei neppure deve essere disturbato nel suo abituale modo di vivere." "Allora questo modo di essere arrestati non è poi così cattivo", disse K., e si avvicinò all'ispettore. "Non ho mai detto che lo fosse", rispose questi. "Ma allora anche la comunicazione dell'arresto non sembra molto necessaria", disse K. avvicinandosi ancor di più. Anche gli altri si erano avvicinati. Ora si trovavano tutti in uno spazio ristretto davanti alla porta. "Era mio dovere", disse l'ispettore. "Un dovere stupido", disse K. ostinato. "Può darsi", rispose l'ispettore, "ma non vorremo davvero perdere il nostro tempo in simili discorsi. Avevo supposto che lei volesse andare in banca. Siccome lei sta a pesare ogni parola, allora aggiungo: io non la obbligo ad andare in banca, avevo solo pensato che lei volesse andarci. E per renderle ciò ancor più facile e rendere il suo arrivo in banca il più possibile inosservato, ho tenuto qui a sua disposizione questi tre signori, che sono suoi colleghi."

"Cosa?" esclamò K., e guardò i tre stupefatto. Questi giovani esangui e così insignificanti, che erano finora nella sua memoria solo come gruppo davanti alle fotografie, erano effettivamente impiegati della sua banca, non colleghi, questo era eccessivo e dimostrava una lacuna nell'onniscienza dell'ispettore, ma impiegati subordinati della banca lo erano senz'altro. Come aveva potuto K. non accorgersene?

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