Autogoverno ai magistrati
Lo sfascio dell'autogoverno della magistratura che emerge da questi giorni, impone di uscire dalla confusione per dare concretezza alla delusione e alla polemica. Crediamo si debba essere consapevoli che l'autogoverno è degenerato in tutti gli ambiti in cui si esercita, non solo per la nomina dei direttivi. In ogni ambito dell'attività in cui si esercita l'autogoverno le decisioni vengono prese per ragioni di amicizia o inimicizia, oppure, quando va bene, per ragioni di opportunità, convenienza, utilità. Molto raramente semplicemente applicando le norme che regolano la materia. Allora occorre restituire l'autogoverno ai magistrati in toga. I magistrati in toga, infatti, sono quelli che ogni giorno esercitano la giurisdizione e lo fanno con grande imparzialità, saggezza e preparazione. Dei magistrati in toga ci si può fidare. Per questo l'autogoverno deve diventare semplicemente un pezzo del lavoro di tutti i magistrati, come lo è fare sentenze. Per raggiungere questo obiettivo, per cominciare, l'attività nei consigli giudiziari deve diventare un'attività, un onere, a carico di tutti i magistrati, come lo è fare sentenze. Per fare questo è assolutamente possibile prevedere un meccanismo per cui la nomina a componenti dei consigli giudiziari avviene a rotazione, per sorteggio puro, esclusi direttivi e semidirettivi, con riduzione significativa del carico di lavoro e durata limitata nel tempo, per massimo due anni.
Consigli giudiziari da liberare, al contempo, dalla anomala funzione attuale di consilium principis, alle dipendenze dei Presidenti della Corte di appello, per essere restituiti solo a tutti magistrati.
